Caffè amaro, colonialismo e mansplaining

Il colonialismo secondo lui (e la mia pazienza secondo me)

ACTIVISMFEATURED

10/25/20222 min leggere

white ceramic teacup on brown wooden table
white ceramic teacup on brown wooden table

La scena: io, donna non italiana e non bianca, che sorseggio un caffè al bar con un conoscente italiano. Una chiacchierata innocente sul più e sul meno, finché, ingenuamente, menziono che parteciperò a un evento sul colonialismo italiano in Africa.

Mai lo avessi fatto!

Lui, con la prontezza di chi ha appena scovato un'eresia, parte in quarta col buon vecchio mansplaining: sguardo serio, tono paternalistico e una domanda che fa già presagire il peggio: "Ma tu, cosa ne sai del colonialismo italiano?"

Ora, chiariamo subito: non era una domanda per stimolare un dibattito o per curiosità intellettuale. No, no. Era una domanda retorica, un’affermazione camuffata, il cui sottotesto era: "Tu, cosa ne vuoi sapere, che non sei italiana?"

Appoggio la tazzina con la calma di un monaco zen (sebbene dentro di me la immaginassi già in volo, con tanto di traiettoria precisa sulla sua fronte), e con il sorriso più diplomatico del mondo gli faccio notare due cosette. Primo: il colonialismo italiano è un argomento che, guarda un po’, non è poi così noto nemmeno agli italiani stessi, quindi il bisogno di studiarlo è universale. Secondo: forse, e dico forse, ne so più io di lui, dato che il sapere dei colonizzati è spesso più profondo del “sapere” dei colonizzatori.

Ma lui, impavido, non si lascia scalfire da concetti così astrusi. Anzi, rilancia con una perla che meriterebbe di essere incisa nella pietra: "Eh, ma vedi… gli italiani sono ignoranti e tu te ne approfitti."

E lì, la mia calma ha iniziato a scricchiolare.

Nella mia testa, la tazzina completava la sua missione divina, atterrando con una precisione chirurgica proprio al centro della sua fronte. Ma nella realtà, purtroppo, ero ancora lì a sorbirmi la sua teoria complottista, basata su tre convinzioni incrollabili:

  1. Che ci si possa improvvisare mediatori culturali dall’oggi al domani, come se fosse un hobby.

  2. Che questo lavoro ti faccia guadagnare fiumi di denaro (sì, certo, mi pagano in lingotti d’oro e cammelli d’avorio).

  3. Che gli italiani – tutti, tranne lui ovviamente – siano un branco di ignoranti.

A quel punto, l’unica domanda che davvero contava era: "Ma chi diavolo mi ha fatto sedere qui a bere un caffè con questo tizio?!"

Ogni espressione del mio volto lo stava già mandando a quel paese, ma ricordandomi le sagge parole di Gesù sul non gettare perle ai porci, ho deciso di salvare fiato e neuroni. Cambio discorso, finisco il caffè e mi prometto solennemente di selezionare con estrema cura i futuri compagni di pausa caffè.

E soprattutto, che i colonizzati si raccontino, piuttosto che essere raccontati.

Related Stories